Scoperta su CHD8 associata a disturbi autistici
DIANE RICHMOND & GIOVANNI ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XVI – 26 gennaio 2019.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia”
(BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi
rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente
lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di
pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei
soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del testo: AGGIORNAMENTO]
Negli
studi di genetica dei disturbi dello
spettro dell’autismo (ASD, da autism spectrum disorder),
le mutazioni nel gene della proteina CHD8 (chromodomain
helicase DNA-binding protein 8) sono attualmente tra i rilievi più comuni e
più spesso replicati. È importante conoscere la fisiologia di tale molecola,
per indagare i meccanismi delle alterazioni prodotte dalla variante mutata. Si
ritiene che CHD8 agisca come un regolatore
trascrizionale rimodellando la struttura della cromatina e reclutando
l’istone H1 per influire sui geni.
I
meccanismi mediante i quali il deficit di CHD8 causa la neuropatologia dello
sviluppo all’origine della sintomatologia che porta alla diagnosi di ASD non
sono stati ancora definiti con certezza; ma Xu e colleghi, in un nuovo studio,
hanno scoperto elementi importanti del profilo di espressione di CHD8 nel
cervello umano e murino, individuando possibili ruoli cruciali alterati dalle
mutazioni.
(Xu Q., et al., Autism-associated
CHD8 deficiency impairs axon development and migration of cortical neurons.
Molecular
Autism 9: 65 – Epub ahead of print doi: 10.1186/s13229-018-0244-2, eCollection
Dec. 19, 2018).
La provenienza degli autori è la seguente: Department
of Child Health Care, Children’s Hospital of Fudan University, Shanghai (Cina);
Institute of Neuroscience & State Key Laboratory of Neuroscience, CAS
Center for Excellence in Brain Science and Intelligence Technology, Shanghai
Institutes for Biological Sciences, Chinese Academy of Sciences, Shanghai (Cina);
Department of Pediatrics, Program in
Genetics and Genomics, Duke University School of Medicine, Durham (USA); Department
of Neurobiology, Duke University School of Medicine, Durham (USA); University
of Chinese Academy of Science, Beijing (China).
Già lo
scorso anno si notava che i disturbi
dello spettro dell’autismo sono attualmente diagnosticati con una frequenza
superiore a quella di qualche decennio fa[1], coerentemente con la stima epidemiologica dell’1% della popolazione
generale[2], costituendo un problema anche quantitativamente rilevante[3]. L’alta ereditabilità sembra associata ad una genetica complessa che può
tradursi in differenti alterazioni fisiopatologiche che condividono il fenotipo
autistico. Infatti: “Disturbi pervasivi dello sviluppo che si accompagnano ai
sintomi dell’autismo sono stati descritti in associazione ad alterazioni neuroevolutive
dell’encefalo e a malformazioni neurologiche e vascolari”[4]. Non vi è più dubbio circa l’eterogeneità dei processi che determinano
sintomi comuni, e progressivamente sta acquistando un’importanza sempre
maggiore il rilievo delle differenze cliniche, anche per effetto dell’impegno
costante di sensibilizzazione e aggiornamento fornito da studiosi quali quelli
che afferiscono alla nostra scuola neuroscientifica[5].
Da
decenni, sulla base di numerose prove sperimentali, si ritiene che le
manifestazioni fenotipiche di ASD siano in massima parte geneticamente
determinate. Le banche dati generate da studi sulle famiglie e gli studi di screening dell’intero genoma indicano
una genetica complessa. Studi recenti stanno fornendo criteri che potranno
consentire di distinguere categorie patologiche diverse; si suppone che
sottotipi neurobiologici distinti, ai quali corrisponderebbero gruppi di cause
genetiche omogenee, sottendano differenze cognitive e linguistiche, come quelle
rilevate in una nostra recente recensione[6], dalla quale traiamo una più generale
introduzione sulle basi di questi disturbi:
“Le basi
biologiche delle sindromi ASD che, in qualità di disturbi pervasivi dello sviluppo sono associate a quadri
patologici quali il disturbo di Asperger, la sindrome di Rett, il disturbo disintegrativo
dell’infanzia, l’autismo atipico e disturbi pervasivi generici, non sono ancora
determinate con precisione, sia perché si ritiene che all’esito comportamentale
dei tratti autistici si possa giungere da percorsi molecolari diversi, sia
perché i dati genetici e neurochimici raccolti ancora non consentono di
ricostruire precisi profili eziopatogenetici.
Sebbene la
mole degli studi neurochimici sia veramente impressionante, solo una parte
esigua dei risultati ottenuti è stata replicata e confermata. È il caso delle
indagini su campioni necroscopici - in gran parte dovute all’impegno di
Margaret Bauman e colleghi dell’Autism
Tissue Project - che hanno fornito una quantità e una varietà di rilievi,
con pochi riscontri o in attesa di replica, quali: alterazione del legame nei
recettori corticali GABA-A, anomalie associate al glutammato, ridotta
produzione di reelina nel
cervelletto, basso numero di recettori nicotinici in regioni corticali e
diminuzione del legame della serotonina ai recettori 5-HT2 nella corteccia, fra
i più documentati.
Numerosi
studi sono stati condotti sul sistema della serotonina, inizialmente
focalizzati sul rilevato eccesso dell’indolalchilammina nelle piastrine e sul
recettore 5-HT2. L’indagine sul sistema della dopamina ha sorpreso, mostrando
in molti studi indici e parametri del tutto normali. I sistemi dello stress hanno rivelato una significativa
iper-reattività nell’autismo, pur presentando una fisiologia basale nella
norma. Infine, la ridotta produzione di melatonina da parte della ghiandola
pineale, responsabile della maggiore quota dell’ormone sintetizzata durante la
notte, sembra associata ad una più bassa produzione anche da parte della parete
intestinale durante il giorno, configurando una potenziale alterazione che ha diretto
l’attenzione di molti ricercatori sui ritmi circadiani negli affetti da ASD.
Da un
punto di vista clinico: “I disturbi
dello spettro dell’autismo (ASD) sono clinicamente definiti sulla base di
manifestazioni sintomatologiche riportabili a tre aree indipendenti di
alterazione: 1) difetto di interazione sociale e comunicativa; 2) interessi
ristretti e preoccupazioni idiosincrasiche; 3) comportamenti ripetitivi e
stereotipie di moto”[7].
Come si è osservato molte altre
volte in passato, l’attuale concetto clinico di autismo deve considerarsi
corrispondente ad una condizione eterogenea in termini comportamentali,
neurobiologici e genetici, con una tendenza in questo campo verso una
concezione più dimensionale e meno categoriale. La genetica appare
complessa, perché gli studi evidenziano la presenza di una determinazione quasi
certa, ma non espressa secondo criteri mendeliani e dovuta ad una molteplicità
di fattori genetici che concorrono a determinare il fenotipo. Si ritiene che i
singoli alleli siano responsabili ciascuno per una piccola quota, concorrendo
nel loro insieme a configurare un’origine eterogenea e poligenica. Sebbene i
ruoli di epistasi (interazioni
gene-gene) ed emergenesi (interazioni
emergenti fra componenti) non siano chiari, la loro partecipazione è stata
dimostrata e dedotta in molti lavori. È anche opportuno ricordare che i rapporti genetici del disturbo
autistico propriamente detto con la sindrome di Asperger e la sindrome
dell’X-fragile, dovuta ad una mutazione nella regione 5’ non codificante del
gene FMR1 che causa un’espansione della tripletta CGG oltre le 200 copie, sono
oggetto di intense indagini che stanno fornendo dati e nozioni di sicuro
interesse. Anche se l’esatta identità di molti dei geni associati alle sindromi
non è stata ancora scoperta, i geni finora identificati con certezza codificano
proteine che svolgono ruoli in alcune importanti vie biochimiche conservate
nella filogenesi, quali sintesi delle proteine, regolazione
trascrizionale/epigenetica e segnalazione sinaptica[8].
Seguendo Mustafa Sahin e Mriganka
Sur, notiamo che la ricerca genetica nel campo dei disturbi neuroevolutivi che
includono le sindromi autistiche propone varie centinaia di geni quali fattori
di rischio[9]; tale realtà riflette una molteplicità di cause ed una eterogeneità
patologica, che costituiscono al contempo una sfida ed un’opportunità per la
ricerca. Infatti, con ogni probabilità, la soluzione degli enigmi legati al
rapporto fra alleli mutati e processi alterati, consentirà un salto qualitativo
di vasta portata nella comprensione delle basi neuropatologiche di molti
disturbi neuropsichici”[10].
Ritorniamo
allo studio di Xu e colleghi su CHD8, un regolatore trascrizionale che sembra
agire rimodellando la cromatina e reclutando l’istone H1.
I
ricercatori hanno esaminato analiticamente l’espressione di CHD8 nel cervello
umano e di topo, impiegando metodi immunoistochimici e ibridizzazione in situ. Le conseguenze del deficit
funzionale di CHD8 sono state studiate mediante elettropermeabilizzazione (electroporation) in utero, colture
neuroniche e analisi biochimica, usando RNAi.
Xu e
colleghi hanno scoperto – come essi stessi affermano nell’esposizione dei
risultati della ricerca – che CHD8 è altamente espresso nei neuroni, mentre i
suoi livelli di espressione sono molto bassi nelle cellule della glia. Sono
stati rilevati dati del tutto concordanti tra topo e uomo.
Nello
specifico, CHD8 è prevalentemente localizzato nel nucleo, sia delle cellule
nervose MAP2 positive, sia nei neuroni inibitori positivi alla parvalbumina. Nel
cervello murino in corso di sviluppo, fra il giorno E16 e il giorno E18 di
embriogenesi, si registra il picco di espressione di CHD8. Successivamente si
assiste ad un significativo declino dal P14 all’età adulta.
Gli
esperimenti di knockdown del gene
Chd8 hanno mostrato drammatici quadri di riduzione della crescita degli assoni
e dei dendriti, gravi deficit nello sviluppo delle proiezioni assoniche verso
la corteccia dell’emisfero controlaterale, e ritardata migrazione neuronica
all’epoca dell’E18.5; ritardo che si recupera entro P3 e P7.
Dall’insieme
dei dati emersi da questo studio, per il cui dettaglio si rinvia al testo
integrale dell’articolo originale, si evince un importante ruolo di CHD8: 1)
nello sviluppo delle arborizzazioni dendritiche; 2) nello sviluppo degli
assoni; 3) nella migrazione differenziativa dei neuroni.
Concludendo,
il lavoro di Xu e colleghi presenta nuove conoscenze utili per la dissezione
dei meccanismi molecolari e di circuito causati dal deficit di CHD8 e
responsabili di segni e sintomi di ASD.
Gli autori
della nota ringraziano
la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invitano alla
lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono
nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella
pagina “CERCA”).
Diane
Richmond & Giovanni Rossi
BM&L-26 gennaio
2019
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Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Cfr. Note e Notizie 08-12-18 Differenze neurobiologiche fra i diversi tipi di autismo.
[2] Lord C., et al., Epidemiology: How common is autism? Nature 474 (7350): 166-168, 2011.
[3] Note e Notizie 05-05-18 Shank3 rivela una probabile base di sintomi autistici.
[4] Note e Notizie 07-11-15 Neuroscienza e terapia di autismo e disturbi correlati.
[5] Cfr. Note e Notizie 08-12-18 Differenze neurobiologiche fra i diversi tipi di autismo.
[6] Cfr. Note e Notizie 08-12-18 Differenze neurobiologiche fra i diversi tipi di autismo.
[7] Note e Notizie 07-11-15 Neuroscienza e terapia di autismo e disturbi correlati. Anche se i criteri clinici variano, in dipendenza del fatto che si accetti il DSM o si segua la nosografia tradizionale, l’approccio sperimentale include in questo ambito il disturbo autistico, le forme atipiche di autismo, il disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato, il disturbo disintegrativo dell’infanzia, la sindrome di Asperger, la sindrome di Rett e le forme autistiche della sindrome dell’X-fragile.
[8] Cfr. il già citato articolo del 5 novembre 2015.
[9] Cfr. Sahin M., et al., Genes, circuits, and precision therapies for autism and related neurodevelopmental disorders. Science – Epub ahead of print doi: 10.1126/science.aab3897, 2015.
[10] Note e Notizie 05-05-18 Shank3 rivela una probabile base di sintomi autistici.